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In viaggio. La vita oltre il muro




Un giorno decise di partire. Non aveva in mente una meta precisa, voleva solo andare il più lontano possibile dal luogo in cui viveva. Voleva mettere migliaia di chilometri tra sé e il proprio lavoro di cui era diventato schiavo, “non vivo più – raccontava a tutti – alla sera sono triste perchè so che il giorno dopo devo andare al lavoro, al lavoro mi dispero perchè ho la sensazione di stare buttando via la mia vita”. Tanta strada, voleva mettere, anche tra sé e gli amici che ormai sentiva come estranei. “Senza offesa” diceva, “ma non sto più bene con loro, facciamo le cose che abbiamo sempre fatto, ma non mi piace più andare al bar o al cinema e scherzare con loro, cioè mi piace ma non mi appaga”. 
E poi, voleva mettere migliaia di chilometri tra sé e lei, la donna con cui condivideva la vita da molti anni. “Non so più se amo mia moglie – diceva – le voglio bene e insieme ne abbiamo passate tante ma manca qualcosa, sento che questa non è la felicità”.

Così, un bel giorno, se ne fregò di tutti e di tutto e partì. Invano gli “amici” gli avevano detto di prendersi qualche giorno di ferie per stare in casa a riflettere, invano sua moglie le aveva urlato tra le lacrime “pensa a tuo figlio, come fai a lasciarlo solo?”. “Non è solo” aveva pensato lui, chiudendosi la porta di casa dietro le spalle. Per qualche giorno mentre guidava senza una meta, aveva sentito addosso un pesante senso di colpa.
Ma non passò molto tempo che la strada davanti a lui, e le terre e i cieli attorno alla sua macchina, assunsero il sapore della libertà. Guidava con i finestrini aperti, faceva un caldo infernale, ma non usava l'aria condizionata, voleva respirarsi tutto quel fuori che non aveva mai visto.

Era talmente inebriato da quell'andare senza meta e senza tempo, che si dimenticò di fare il pieno prima di lasciare la civiltà e addentrarsi nel deserto. La strada era polverosa e attorno non c'era nessuno, solo terra arida e qualche uccello che passava veloce, solo di passaggio, in cerca di un luogo più ospitale. La macchina si fermò, anche l'ultima goccia di benzina era finita. Per qualche strana ragione -che nemmeno lui conosceva – non si preoccupò minimamente della situazione. “Sono attrezzato” pensò, prese lo zaino – dove aveva messo un sacco a pelo, una torcia, qualche litro d'acqua e un paio di scatolette di cibo – e abbandonò la macchina, in pieno deserto. Aveva dentro di sé l'irrefrenabile desiderio di trovarsi a tu per tu con l'esistenza, e in questo tu per tu, la macchina non era contemplata, perciò andava bene così! Ciao macchinina, ciao.

Dopo poche ore di cammino, si fece notte, entusiasta come un bambino al primo campeggio scout, l'uomo si infilò nel sacco a pelo, si posizionò la torcia accesa a fianco, come fosse una bajour. Dopo qualche istante sorrise pensando “a cosa mi serve una bajour nel deserto, forse mi salverà da qualche pericolo?” e così la spense. E fu allora che lo vide, come non l'aveva visto mai: il cielo era una coperta di stelle sopra di lui. Milioni di torce accese illuminavano il suo volto, l'uomo si commosse dalla felicità, non si era mai sentito così compreso, così accettato come in quel momento. Come una lieve brezza la nostalgia per suo figlio lo accarezzò per un attimo, poi, quasi immediatamente, l'uomo pensò che sarebbe stato bellissimo raccontare quel cielo a suo figlio. Si addormentò quasi subito.

Il giorno dopo, dopo qualche ora di cammino, iniziò a pensare che senza auto, il tempo e lo spazio erano diversi. Pensava che per muoversi a piedi non bisogna avere fretta, che se tutte le persone avessero smesso di usare l'auto, la fretta sarebbe sparita. Le fabbriche, gli uffici, i bar, i negozi, sicuramente avrebbero cambiato i loro orari e i loro proprietari avrebbero avuto un a forma migliore. E pensava anche a quante cose si notano camminando. Lui stava attraversando un deserto eppure notava mille cose: una crepa dalla forma particolare sul terreno, una fila di insetti che non conosceva, una piccola pianta quasi secca ma che resisteva... Insomma, quante cose avrebbe potuto notare, e gustare, andando a piedi nella sua città o nella campagna che la circondava? Sicuramente tantissime, si promise di farlo, una volta tornato.

Mentre era assorto in tutti questi pensieri, iniziò a vedere all'orizzonte una specie di muraglia, così credette di essere arrivato ad un paese circondato da mura. Finalmente poteva cercare ospitalità e trovare dell'acqua, le sue riserve stavano infatti terminando. Man mano che si avvicinava, vedeva che questo muro era lunghissimo, come un serpentone si estendeva a perdita d'occhio.. quale città poteva estendersi per così tanti chilometri nel cuore del deserto? Lo avrebbe saputo presto, ancora qualche centinaio di metri e avrebbe toccato con mano quel muro e lo avrebbe valicato.
Dopo qualche minuto, si trovò faccia a faccia con questo misterioso muro, misterioso perchè non si capiva dove fosse l'entrata, l'apertura per poterlo superare. Era molto alto, 20 metri almeno ed era anche molto lungo, difficile dire quanto.
L'uomo scelse una direzione a caso e iniziò a costeggiarlo, convinto che entro breve avrebbe trovato la porta per entrare nella città.

Niente da fare, dopo diverse ore di cammino, nessuna porta era comparsa, nessuna apertura, nessun spiraglio che lasciasse intravedere qualcosa al di là di quel muro. L'uomo iniziava ad innervosirsi, tanto più che l'acqua, ora, era finita.
Provò anche a scalarlo quel muro, ma era impossibile. I mattoni erano molto lisci e le fessure, tra uno e l'altro, quasi inesistenti. Era dolorosissimo riuscire a infilare le dita tra i mattoni, e appena provava a fare forza per arrampicarsi, scivolava giù, e i piedi, per quanto provasse, non riuscivano a rimanere appoggiati in quei pochi millimetri tra i mattoni.
Continuò a camminare per tutto il giorno, ogni tanto appoggiava l'orecchio al muro per sentire qualcosa o qualcuno, ma tutto taceva. Non si sentiva nulla! Ma cosa c'era oltre il muro? Chi c'era? Perchè non c'erano porte o scale? Perchè quel muro non finiva più?
Tante volte provò anche ad urlare per chiedere aiuto, che qualcuno gli indicasse la via per entrare o che gli lanciasse almeno una corda, ma mai nessuno rispondeva.
Ad un certo punto l'uomo iniziò a gridare aiuto fino a sgolarsi, poi cadde a terra, stremato. Non aveva più acqua e non vedeva niente e nessuno all'orizzonte, a parte quel maledetto muro. Quel muro, oltre a non farsi superare, non finiva più, si estendeva a perdita d'occhio. Forse l'uomo lo stava percorrendo dalla parte sbagliata, questo non ci è dato saperlo, sappiamo solo che quel muro gli sbarrava la strada.

Ormai privo di forze, e sull'orlo del crollo psico-fisico, l'uomo vide in lontananza qualcosa che si avvicinava. Finalmente una forma di vita! Era una donna, ed era anche una bella donna! Per un attimo l'uomo credette di avere un miraggio. Era alta, mora, con i capelli lunghi e avanzava verso di lui sopra un cammello. Il cammello era carico di secchi e di lunghi bastoni che assomigliavano a dei pennelli, enormi. La donna sorrideva, era sporca di blu nella fronte. Scese dal cammello e porse una borraccia d'acqua all'uomo che, per la stanchezza e lo sbalordimento, non riusciva nemmeno a parlare. La donna gli fece cenno di salire sul cammello, il cammello si abbassò e l'uomo si trovò più alto di due metri a respirare il profumo dei capelli più lunghi che avesse mai visto.

Dopo circa mezz'ora, il cammello fece ingresso in una specie di oasi: qualche piante, molte tende, e, soprattutto, una sorgente d'acqua. Il muro delimitava un lato di questa isola verde ed era stato colorato in mille modi dai suoi abitanti. La ragazza spiegò che quel villaggio era sempre esistito e che nessuno se lo ricorda senza muro, da secoli esso veniva colorato fungendo da grande tela per l'arte di grandi e piccoli. L'uomo andò a vedere da vicino il muro: alcuni disegni erano molto antichi, altri erano più recenti, ma quello che più lo stupì era che i colori non si fermavano in corrispondenza del confine del paese. La giovane donna gli raccontò che spesso lei ed altri, dopo aver caricato sulle gobbe del cammello, pennelli e colori, partivano per andare a dipingere il muro fuori dal villaggio. Era questo il motivo che l'aveva portata nel punto in cui lo aveva trovato, a terra privo di forze.
Dopo aver mangiato e bevuto l'uomo decise di rimanere per qualche giorno in quel villaggio, forse – pensava – qualcuno gli avrebbe detto dove finiva il muro o come superarlo.
Ma rimase deluso, bastarono poche ore per rendersi conto che nessun abitante di quell'oasi aveva anche solo un'idea di dove quel muro terminasse, del perchè fosse stato costruito, e da chì, né tanto meno di come oltrepassarlo. Semplicemente, il muro faceva parte del paesaggio, anzi del paese, come una grande parete di una virtuale galleria d'arte a cielo aperto.
Dopo qualche giorno di esitazione, l'uomo decise di prendere parte a quella che lui considerava un'assurdità collettiva: colorare il muro invece di cercare la sua fine. Un bel giorno anche lui, pennellone in mano, salì in cima ad una scala e iniziò a dipingere.. ben presto iniziò a provarci gusto. Imparò svariate tecniche di disegno e di colorazione che arrivavano fin dove riuscivano ad arrivare con la scale. C'è da dire, infatti, che con le loro scale, gli abitanti del villaggio non erano mai riusciti ad arrivare fino in cima, sebbene qualcuno in passato ci avesse provato.
“Niente da fare” aveva detto un signore dai capelli neri e ricci, “ho tentato di fare una scala altissima, di creare dei ponteggi, ma di questo muro non si vede la fine e ogni volta accadeva qualcosa che ci faceva desistere, come un forte vento oppure la caduta di qualcuno da grandi altezze”. Tutto questo aveva convinto la gente dell'oasi che quel muro non era da scalare, e così ora era parte integrante della loro vita, su di esso esprimevano la loro rabbia, gioia, desiderio di felicità, ma era usato anche in altri modi. Molte case avevano il muro come quarta parete, oppure fungeva da parete di allenamento per scalare le montagne... insomma un alto e possente muro poteva essere anche utile, e queste persone avevano deciso di accettarlo. “Infondo – disse una sera un anziano signore – lui è qui da molto tempo prima di noi”.
Ma com'era possibile che quel muro fosse invalicabile, e soprattutto che non avesse fine? “Da qualche parte deve pur terminare – disse l'uomo un pomeriggio mentre si trovava di fronte al muro con le braccia appoggiate sui fianchi, e lo osservava fin dove il suo occhio poteva arrivare – dove abito io non c'è questo muro, e nemmeno nelle altre città in cui sono stato, quindi deve avere una fine! Forse finisce con la fine del deserto”. “Questo muro non ha fine – le rispose a sorpresa un ragazzino sporco di colore sulle guance – è ovunque, forse nelle città in cui sei stato non si vede”.

“Voglio vedere il mondo” gli disse una mattina la giovane donna che lo aveva salvato, " io voglio vedere cosa c'è oltre a questo muro” disse lui. “Anche io - rispose la donna – prepara il tuo bagaglio, si parte”. Per questo viaggio la donna scelse il cavallo perchè più veloce, quando furono in sella, lei lanciò l'animale a folle velocità verso la direzione da cui era arrivato l'uomo. Lui rimase spiazzato da questa mossa, proprio non se l'aspettava, “Ma così mi fai tornare indietro – iniziò ad urlare – io voglio andare oltre il muro!!!”, “anchi io!” urlò lei mentre si lasciavano alle spalle, l'oasi, il muro e, ben presto, tutto il deserto.

L'uomo non le chiese mai il perchè di quella decisione, il perchè lo avesse trascinato dalla stessa parte da cui era arrivato. I due viaggiarono molto insieme, difficile elencare tutti i paesi che visitarono, gli straordinari scenari in cui si trovarono immersi, le avventure che vissero nel mondo degli uomini e nella natura più sconfinata. Dopo molti mesi, l'uomo, per la prima volta, decise di scrivere al figlio: poche righe di affetto sopra una fotografia di una magnifica foresta. Dopo un mese gli spedì l'immagine di un'altra meraviglia della natura, e poi città, e volti, e sorrisi. Uno scatto e poche righe con cui comunicava il suo bene al figlio, senza mai addentrarsi nei motivi che lo avevao portato a fare quello che stava facendo, senza mai chiedere perdono per la sua partenza, senza mai lasciare un recapito attraverso cui ricevere una risposta. A volte, l'uomo veniva colto dalla preoccupazione su quali potessero essere le reazioni del figlio alle sue “cartoline”, “chissà..” pensava..

Il figlio reagì male alla prima cartolina, reagì male anche alla seconda. La cosa che più lo faceva arrabbiare era che non aveva un indirizzo a cui scrivere, l'impossibilità che aveva di gridare a quell'uomo tutta la sua rabbia per essere stato abbandonato. Poi, dopo la terza immagine, con le “solite” (che solite non erano mai) parole cariche d'affetto, qualcosa in lui cambiò. Per la prima volta non vide la cartolina di un uomo che se ne fregava di lui, per la prima volta vide il gesto d'amore di un padre che, in giro per il mondo, voleva condividere tanta bellezza con lui. Per la prima volta il figlio apprezzò il non tentativo del padre di spiegare il perchè della sua partenza, lo apprezzò perchè si rese conto che il perchè non lo sapeva neppure lui.
La verità era semplice: suo padre era anche un uomo, e come tale aveva una vita da vivere. Il figlio si sentì, ad un tratto, più fortunato di tutti gli altri ragazzi che conosceva. Il motivo? Lo spiegò un giorno a sua madre: “sono felice che mio padre non abbia rinunciato alla felicità a causa mia. Ho un padre che ama me e anche la sua vita, e questo è il più bell'insegnamento che poteva darmi”.

Partendo aveva rischiato molto, sapeva che il pericolo che suo figlio non lo avrebbe mai perdonato era più che concreto. Ma non fu così, in quelle cartoline spedite dal mondo, c'era così tanto amore, che non potevano che essere brecce nel cuore del ragazzo.
Quando il padre tornò a casa si trovò un figlio cresciuto, in tutti i sensi. Una crescita a cui l'uomo aveva partecipato, seppure a distanza. Si trovò un figlio ansioso di riabbracciarlo e di ascoltare i racconti dei suoi tanti viaggi, con gli occhi ricolmi di sogni brillanti.

L'uomo rimase a vivere nella città in cui abitava suo figlio, concedendosi, di tanto in tanto, un lungo viaggio nei luoghi che ancora non aveva visto. La donna che aveva conosciuto nel deserto era stata molto più di una compagnia di viaggio, forse era stata la sua guida, forse – addirittura – un angelo che lo aveva aiutato a superare il muro. Poi, una volta visto cosa c'era oltre il muro, se n'era tornata alla sua oasi, portando con sé tante nuove immagini da colorare su quella infinita parete.
“Ma cosa c'era oltre il muro?” chiese un giorno il figlio al padre, “c'era il mondo, tutto attorno al muro c'era il mondo” rispose lui.

Commenti

  1. ah! ecco la magia... sparizione, scomparsa, puff, toh! non ho detto niente, me lo sono sognato, pfuiii, me la sono vista brutta. Fortuna è apparsa la speranza... ora
    con comodo, me la leggo e eventualmente la commento.

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    Risposte
    1. Ciao, ti posso chiedere perchè scrivi tutte quelle cose in questo blog?... a me?.. Io non capisco, grazie

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  2. Ma figurati se ti capisco pure io, ho letto Jodorowsky e le sparo come se fossi un poeta, poi tu, che a ben guardare hai talento, fanne qual che vuoi. Però la smetto subito, a me poi Jodorowsky non piace. Ciao grazie a te

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