Tutto è cominciato con l'ombra dell'ulivo sul soffitto della mia camera.
Era notte, all'indomani avrei dovuto affrontare uno degli esami più difficili del corso. Di quegli esami che te ne parlano già quando sei in fila per l'iscrizione, quegli esami la cui terribile fama ti circonda finchè non giunge il tuo momento.
Ebbene, il mio momento era giunto, quella era l'ultima notte prima di quell'alba tanto attesa. Il giorno seguente avrei dovuto alzarmi prestissimo - da brava studente pendolare - e prendere il treno per Bologna.. bene (si fa per dire): quella notte non dormivo. Mi giravo e rigiravo nel letto, mentre fuori il temporale la faceva da padrone.
Ad un certo punto feci una cosa naturale quanto rara per me in quel periodo, mi girai a pancia in sù e guardai dritto in alto. Qualcosa si muoveva, un'ombra irregolare si agitava contro il soffitto: erano i rami dell'ulivo del giardino che si riflettevano nella stanza.
Era dicembre, e mio padre, proprio quel giorno, aveva montato le luci di natale sugli alberi, ecco perchè potevo vedere quelle ombre nella mia camera, sul soffitto e su una parte della parete di fronte alla finestra. Appena le vidi rimasi sorpresa e conquistata: c'era in quelle ombre in movimento qualcosa di magicamente consolante. Dopo i primi istanti impiegati a capire cosa fossero, le ombre dei rami mi calmarono immediatamente facendomi entrare in un'altra dimensione, non saprei come meglio definirla. Una dimensione che avvertii superiore alla mia e più reale, anzi l'unica reale. Non tanto le ombre in sè mi fecero quell'effetto ma ciò che mi comunicavano: sembravano dirmi: "noi siamo qui, c'eravamo anche ieri e non ci hai mai visto. Noi ci saremo anche domani, ti stai preoccupando di una cosa piccola, di un mondo che non esiste. La realtà è molto più immensa e non fornisce motivi di ansie".
Il giorno dopo partii per Bologna, diedi l'esame con la solita tensione e andò bene. Fui comunque grata a quei rami che in una notte tempestosa, in tutti i sensi, alleviarono le mie ansie, facendomi capire che tutta l'energia usata nel preoccuparmi era energia sprecata (e più avanti, avrei appreso, anche male investita). Quella fu la prima volta che diedi il benvenuto all'ulivo nella mia stanza, senza che mai lo avessi invitato. Da lì nacque il mio amore per gli alberi, e soprattutto per le loro vette al vento. Non sono una loro conoscitrice, non conosco i loro nomi, se non quelli più comuni nella mia zona, ma provo per loro un grande amore. Tutta la natura ha tanto da dirmi (e dirci) ma l'albero sembra che conosca il modo più efficace di comunicare con me, e viceversa.
Sono passati circa 10 anni da quella notte e da allora, con rarissime eccezioni, non chiudo mai del tutto gli scuroni della camera, per poter vedere l'albero entrare. Non mi riferisco solo al periodo natalizio, quando le lucine me lo portano in camera in un "vassoio d'argento", ma a tutto l'anno... infatti anche il lampione della strada - se pur meno suggestivo - riesce a proiettare qualche gioco di rami sulle pareti.
Gli alberi vennero in mio soccorso diretto altre volte in questi ultimi anni. Ricordo bene lo "strambo" periodo in cui abitavo da sola. Vivevo in una graziosa mansarda che aveva due graziose finestre ma niente terrazzi. Una notte, tornata a casa molto tardi e in preda a una profonda tristezza, mi sedetti in cima alla scala esterna del palazzo, proprio davanti alla mia porta d'ingresso. Davanti a me due alti pini si muovevano al vento nella luce della luna. L'aria era fredda ma decisi di restare lì un altro po', perchè i miei fedeli amici, ancora una volta, mi stavano coccolando e consolando. E anche quella volta parevano dirmi così: "non badare a queste cose, c'è altro da vedere, altro da fare". La stessa cosa mi è accaduta sul luogo di lavoro: quando le cose non andavano per il verso giusto, loro erano là a ricordarmi che non era proprio il caso di starci male! Mi bastava guardare fuori dalla finestra, con ancora le mani sulla tastiera del computer, per sentirmi meglio.
Con le loro radici-piedi bene affondate nel terreno e i loro rami-braccia nel cielo, sembrano l'altra parte di noi, quella originaria eppure dimenticata. E' come se ci dicessero: ricordati chi sei, io sono te e tu sei me.
Insomma dico grazie a tutti gli alberi della terra, e non solo perchè ci permettono di respirare, ma perchè davvero li sento come presenze vive nelle mia vita, altroché il regno vegetale! I vegetali spesso siamo noi! Ci fissiamo, ci blocchiamo nel dolore come ingranaggi arrugginiti che aspettano che qualcuno dia l'olio al motore che li ha attivati, senza accorgersi che sono un pezzo unico col motore.
Col tempo ho capito che non erano gli alberi a "cercare" me per farmi star meglio, ma io a cercare loro, con quella parte di me di cui magari non avevo consapevolezza, come un istinto naturale che guarda, appunto, alla natura. No, noi non siamo come le piante, questo lo so, ma siamo parte della stessa vita...
Non esiste io e l'albero perchè siamo una cosa sola, insieme a tutto ciò che esiste e di cui le mie attuali limitate percezioni fanno esperienza.
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